Lo psichiatra infantile Boris Levinson, negli anni Sessanta dello scorso secolo, ebbe l’opportunità di assistere alla facilitazione di una seduta con un piccolo paziente affetto da autismo per la presenza nella stanza del cane con cui lo psichiatra conviveva. Il bambino riusciva a proiettare sull’animale le proprie emozioni e la relazione medico-paziente si arricchiva e assumeva differenti sfumature.
Dall’intuizione di Levinson nasce l’approccio di co-terapia che oggi conosciamo come Pet therapy, nella quale la relazione tra conduttore animale viene messa a disposizione di persone di ogni età all’interno di case di cura, ospedali, residenze protette. Più in generale in tutte quelle situazioni in cui la presenza di equipe opportunamente formate, multidisciplinari e “multispecie” può contribuire a migliorare e promuovere il benessere.
Oggi, che sempre più numerosi studi scientifici nazionali e internazionali dimostrano l’efficacia delle attività e terapie assistite dagli animali, si istituiscono Centri di Referenza Nazionali e si applicano linee guida, si legifera, si regolamenta, si incrementa l’offerta formativa, si dedicano trasmissioni televisive, blog, libri e pagine di giornali alla Pet therapy e ai bene ci apportati dall’ingresso degli animali negli ospedali e nelle scuole.
Spesso purtroppo anche parlandone a sproposito e con poca cognizione di causa, contribuendo a diffondere concetti e idee non esattamente corretti: Pet therapy non è portare un cane, un gatto, un criceto o un coniglio in una classe o in un reparto, è piuttosto una professione a tutti gli e etti che richiede formazione, esperienza, capacità di lavorare in squadra per un fine comune e progettazione.
E anche i co-terapeuti animali devono essere formati, devono avere esperienza, dimostrare capacità e doti peculiari e, soprattutto, devono essere attentamente monitorati dal punto di vista del benessere!
In una relazione, in un legame infatti, ciò che conta è il benessere reciproco e la relazione con gli animali non fa eccezione, e non solo se parliamo di Pet therapy.
Quando è l’animale ad ammalarsi
La giusta relazione fra uomo e animale
Gli scienziati ci dicono che la presenza di un animale in molti ambiti può contribuire a regolarizzare il battito cardiaco, abbassare la pressione arteriosa, migliorare l’ossigenazione del sangue, ridurre l’ansia, migliorare l’umore, ra orzare il sistema immunitario.
Dall’intuizione di Levinson nasce l’approccio di co-terapia che oggi conosciamo come Pet therapy, nella quale la relazione tra conduttore animale viene messa a disposizione di persone di ogni età all’interno di case di cura, ospedali, residenze protette. Più in generale in tutte quelle situazioni in cui la presenza di equipe opportunamente formate, multidisciplinari e “multispecie” può contribuire a migliorare e promuovere il benessere.
Oggi, che sempre più numerosi studi scientifici nazionali e internazionali dimostrano l’efficacia delle attività e terapie assistite dagli animali, si istituiscono Centri di Referenza Nazionali e si applicano linee guida, si legifera, si regolamenta, si incrementa l’offerta formativa, si dedicano trasmissioni televisive, blog, libri e pagine di giornali alla Pet therapy e ai bene ci apportati dall’ingresso degli animali negli ospedali e nelle scuole.
Spesso purtroppo anche parlandone a sproposito e con poca cognizione di causa, contribuendo a diffondere concetti e idee non esattamente corretti: Pet therapy non è portare un cane, un gatto, un criceto o un coniglio in una classe o in un reparto, è piuttosto una professione a tutti gli e etti che richiede formazione, esperienza, capacità di lavorare in squadra per un fine comune e progettazione.
E anche i co-terapeuti animali devono essere formati, devono avere esperienza, dimostrare capacità e doti peculiari e, soprattutto, devono essere attentamente monitorati dal punto di vista del benessere!
In una relazione, in un legame infatti, ciò che conta è il benessere reciproco e la relazione con gli animali non fa eccezione, e non solo se parliamo di Pet therapy.
Quando è l’animale ad ammalarsi
È evidente che un legame affettivo, in cui due individui si scambiano emozioni, ha una duplice valenza: può donare benessere o può far ammalare.
Mi piace pensare, dal momento che generalmente gli animali fanno ingresso nelle nostre famiglie o in ambiti antropici per nostra scelta, che tutto ciò che di buono può donarci la loro presenza dobbiamo meritarcelo. E che il benessere dev’essere reciproco!
Penso spesso a come siamo soliti definire gli animali in base alla loro “utilità”: non solo le terribili definizioni di animali “da reddito”, “da lavoro” o peggio richiamano la mia attenzione, ma anche quelle apparentemente più innocue, come “da compagnia”.
In pochi decenni nei Paesi ritenuti, non so se a ragione, più civilizzati, individui di altre specie sono passati da un’esistenza in prossimità dell’uomo per soddisfarne i bisogni a una vita di stretta coabitazione e relazione: più ci siamo allontanati dall’ambiente naturale, più gli animali sono diventati ciò che ci resta, ciò che ci ricorda sempre più flebilmente chi dovremmo essere, come dovremmo essere; hanno il ruolo di farci sentire meno soli.
Anche quando gli animali diventano specchio dei nostri malesseri e indicati come mezzo per risolvere conflitti esistenziali, diventano strumento, continuano inesorabilmente a essere utilizzati per un fine, un nostro fine.
La giusta relazione fra uomo e animale
Gli scienziati ci dicono che la presenza di un animale in molti ambiti può contribuire a regolarizzare il battito cardiaco, abbassare la pressione arteriosa, migliorare l’ossigenazione del sangue, ridurre l’ansia, migliorare l’umore, ra orzare il sistema immunitario.
Negli anni Ottanta la studiosa Erica Friedmann ha dimostrato che in bambini affetti da cardiopatie non solo vivere con un animale, ma anche semplicemente osservarne uno, riduce la pressione arteriosa, regolarizza la frequenza cardiaca e respiratoria, consente il rilassamento del tono muscolare e del viso.
E forse è proprio questa la chiave, l’osservazione. Se si possiede un animale, se si proiettano su quell’individuo ansia e frustrazione, se gli si richiede di compensare diffcoltà di relazione, riempire vuoti esistenziali, soddisfare il nostro impulso epimeletico, se gli si richiede di esistere, senz’altro staremo meglio, ci sentiremo meno soli, finalmente compresi e accettati, sentiremo di avere uno scopo.
Se invece sceglieremo di vivere accanto ad un ani-male, se lo considereremo un individuo, con le proprie necessità, capacità, attitudini, altro da noi, se gli consentiremo di vivere pienamente, al nostro fianco, di esprimersi, se ci impegneremo a imparare una lingua comune, se costruiremo una relazione libera, autentica, con rispetto, basata sulla conoscenza reciproca, allora forse tornare a sentirci animali tra gli animali sarà la nostra più grande rivoluzione, la nostra più grande conquista.
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